“Le persone non si rendono conto delle proprie emozioni, non dicono quello che pensano e non fanno quello che dicono”. (David Ogilvy)

Da sempre il cervello umano ha incuriosito esperti appartenenti ai settori più disparati per la sua natura: da un lato estremamente complesso, dall’altro incredibilmente affascinante. Ed io, in particolare, lo ammetto, sono attratta dalla mente umana così imperscrutabile, da sempre.

Ti è mai capitato, ad esempio, entrando in un negozio, di essere maggiormente incuriosito da un prodotto piuttosto che da un altro? È stato il caso, secondo te, a dettare quelle scelte o c’è stato qualcosa di più, come un’emozione o uno stato d’animo?

Ho deciso di affrontare il tema del Neuromarketing, al quale sono particolarmente legata e argomento che mi ha permesso di dare una risposta a buona parte dei miei perché. È fondamentale, infatti, per chi opera nel settore della comunicazione e del marketing, capire in che modo opera la mente umana e quali meccanismi si attivano al suo interno.

Qual è, nello specifico, il fattore determinante del Neuromarketing?

La capacità di provare delle emozioni: è da qui che dobbiamo cominciare, è questo il presupposto fondamentale per iniziare ad agire. Spesso è la “sintonia” con un brand e la connessione emotiva che si instaura con esso a portare alla fedeltà verso una marca, al di là di qualsiasi caratteristica tangibile.

Pensiamo al colore e alla sua efficacia: un utente impiega circa 90 secondi per farsi un’opinione su ciò che osserva e, generalmente, essa è condizionata tra il 62% e il 90% dal colore percepito. Da alcune ricerche è stato verificato che il rosso del tasto di call to action, rispetto al verde, ad esempio, funzioni meglio. Addirittura gli utenti che hanno fatto click sul rosso hanno completato l’acquisto con una percentuale di oltre il 30% in più rispetto a quelli con tasto verde. Come mai? Rappresenta una tonalità orientata all’azione e adoperata per invitare a compiere una scelta precisa: se usata con cognizione di causa permette di raggiungere risultati importanti.

Immaginiamo una landing page, ossia una pagina di atterraggio su cui il visitatore arriva dopo aver cliccato su un link o su una pubblicità. Strutturata con diversi scopi, dalle campagne di lead generation, all’invio di preventivi o vendite di prodotti o servizi, può essere paragonata alla vetrina di un negozio fisico: è determinante nel convincere un potenziale cliente ad entrare.

Ma mica posso costringere qualcuno ad entrare senza la sua volontà?

Ogni decisione, come accennato prima, è infatti più inconscia che razionale, ed è per questo che il neuromarketing può esserci d’aiuto. Il movimento attira il nostro cervello rettiliano per cui giocare con le dimensioni, con le forme e con i colori può creare dinamicità e simulare il movimento. Impiegare le frecce in un sito web porterà l’utente a seguire la strada che è stata tracciata per mettere in luce i punti chiave che vogliamo evidenziare. Questi meccanismi aiuteranno a creare pagine che attraggano e, di conseguenze, convertano.

Il “principio di urgenza” nel Neuromarketing

E se ti dicessi “principio di urgenza” cosa ti verrebbe in mente? Si tratta di quello strumento persuasivo studiato da Robert Cialdini, uno dei più grandi psicologi statunitensi e autore di best-seller mondiali, secondo cui desideriamo ora quello che potremmo non essere in grado di ottenere in futuro. Tal principio può essere utilizzato in una landing page ponendo l’utente dinanzi ad una scadenza, magari attraverso un countdown, giustificando sempre il motivo per il quale è stato inserito. Ma attenzione alla trasparenza e alla sincerità; dall’altra parte ci sono persone che osservano e giudicano: mai prendere in giro.

Il segreto è mettersi nei panni di un potenziale utente: ti fideresti di un profilo in cui non compare mai un volto? Probabilmente no, o comunque poco. Basta fare un tentativo per confermare questa ipotesi: prova a pubblicare fotografie di oggetti, di paesaggi, di dettagli e di inserire, nel contempo, anche uno scatto del tuo viso. Dopodiché verifica quale tra queste avrà avuto maggiori risultati: io dico quella dove ti mostri. La ragione sembra essere legata al concetto di empatia. È come se ci rispecchiassimo emotivamente nel volto che vediamo, così osservandone uno che sorride saremo felici; osservandone uno triste, lo saremo anche noi.

Insomma, abbiamo tanto da scoprire e molto da capire ma il cervello umano non mente mai. Il Neuromarketing, nonostante sia ancora poco conosciuto in diverse aziende, potrebbe rappresentare la giusta strada da percorrere.

 

 

Giovanna Fusco
Consulente Marketing e Comunicazione
giovannafusco@ramitalia.it

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